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Grotta della Capre

Sul versante sud-orientale del promontorio del Circeo si apre Grotta delle Capre, che si articola in una grande cavità centrale e tre diramazioni che costituiscono i cunicoli di nord, est ed ovest, l’area centrale ha una lunghezza di circa 42 metri un’altezza di circa 15-20 metri (nel mezzo della volta) e una larghezza di circa 35 metri. L’accesso è garantito tramite il sentiero che rappresenta il prolungamento della via che prende il nome proprio dalla Grotta delle Capre, verso la costa sottostante.

La grotta diventa oggetto di indagini scientifiche già dai primi anni dell’800 ma solo nel 1936 venne effettuato il vero primo scavo sistematico da Carlo Alberto Blanc, che portò alla luce 12 strati del suolo dove, nel quinto strato, rinvenne resti di fauna che mostrano una prevalenza di mammiferi a clima temperato-caldo (Hippopotamus, Dama, Hyaena, Sus scrofa sp.).

Di questa presenza si perdono le tracce negli strati superiori, dove si trovano invece segni di resti fossili animali e vegetali tipici dei climi rigidi, per le mutate condizioni climatiche dovute al sopraggiungere della glaciazione.
Recenti interventi di ricerca, effettuati dalla Soprintendenza Archeologica per il Lazio, svolti in forma preliminare sul ripristino delle originarie sezioni effettuate dal Blanc, localizzate in prossimità dell’entrata e successivamente, sono state poi estese con diversi sondaggi sul resto della grotta.

Il profilo geomorfologico del deposito, relativo al Quaternario, evidenzia tre fasi significative con stratigrafie del suolo che testimoniano un’alternanza di episodi di riempimenti e regressioni marine, passando da un deposito terroso tra il bruno e il nero relativo alla regressione marina Neo tirreniana, che raggiunge la sua quota massima a 6.10 metri s.l.m. nel punto più profondo del cunicolo e degrada a circa 3m in direzione dell’ingresso alla grotta, ad un successivo strato di brecce, sassi e ossa di animali e
molluschi di provenienza continentale, ed infine uno strato carbonioso con resti faunistici appartenenti all’ordine degli ungulati (cervi e stambecchi), alternati a livelli di origine limnica tipici delle fasi umide.

Le analisi polliniche preliminari testimoniano tre fasi evolutive del paleo-ambiente, passando gradualmente da un bioma forestale di tipo mediterraneo alla steppa forestale mediterranea.

La sommità del deposito evidenzia elementi che testimoniano un utilizzo della grotta come riparo da parte di pastori fino all’epoca medievale, come documentato dalla presenza di resti scheletrici di ovini e caprini (da qui l’appellativo di “Grotta delle capre”), di focolari e di frammenti di ceramica dipinta databile cronologicamente intorno al 1360 d.C.

Singolare la presenza di buchi di pali riconducibili a strutture di recinzione per animali isolati per attività quali la mungitura o semplicemente come ricovero.

Il rinvenimento nella grotta di resti scheletrici umani di epoca romana (età imperiale) testimoniano un utilizzo del sito anche a scopo funerario. Le prime sepolture vennero portate alla luce verso la fine degli anni ’80, resti scheletrici relativi ad almeno tre individui adulti, di sesso maschile, disposti in forma sparsa lungo la parete Est.

La struttura funeraria doveva essere di tipo semplice, con deposizione degli inumati in piena terra, pertinente ad una classe sociale di tipo umile. Allo stesso livello di quota vennero recuperati, inoltre, numerosi resti ittici (lische di pesce) che vennero messi in relazione ai resti scheletrici umani, tanto che venne dato loro l’appellativo di “pescatori”.

Successivamente, nel corso dell’anno 2016, a seguito di uno scavo clandestino, sono emersi i resti di una quarta sepoltura appartenente alla tipologia a enchytrismos ossia una inumazione all’interno di un’anfora. I resti della sepoltura, costituiti da frammenti di terracotta sono attualmente custoditi presso la S.A.B.A.P. Lazio, mentre i resti scheletrici in essa contenuti sono conservati e studiati presso il Servizio di Antropologia della medesima Soprintendenza.

La sepoltura si trovava sul lato sinistro (parete ovest) rispetto all’ingresso della grotta, coperta da sedimenti franati dall’alto sul piano di calpestio. Non si esclude neanche la possibilità che tutte le sepolture rinvenute nella grotta risalgano alla stessa epoca e che la variante tipologica sia invece riconducibile alla diversa condizione sociale dei defunti.


In età tardoantica è piuttosto diffuso, infatti, l’uso di reimpiegare a scopo funerario l’anfora comunemente utilizzata quale contenitore per il trasporto e la conservazione di prodotti solidi e liquidi.

Bibliografia:
Resti scheletrici provenienti da Grotta delle Capre sul promontorio del Circeo, M. Rubini, P. Zaio, N. Libianchi, A. Gozzi, Servizio di Antropologia SABAP-LAZ.
G. M. De Rossi, Il Circeo, 1972 p. 36.